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LO SGUARDO E L’AZIONE

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“Lo sguardo e l’azione”

di Oliviero Rossi
A cura di Martina Fino

 

Oliviero Rossi attraverso questo testo offre al lettore la possibilità di porre lo sguardo sulle molteplici modalità di applicazione delle immagini nella relazione di aiuto, aprendo la strada a differenti modalità di azione per poter stabilire una relazione terapeutica con l’altro.

Il libro mi ha lasciato la sensazione che l’autore mi offrisse una mappa, fatta di materiali video-fotografici, da poter usare per addentrarmi nel territorio dell’altro. La cosa che mi porto via con piacere da queste pagine è la possibilità di poter ridare “movimento” a qualcosa che di per sé e’ fisso ed immobile, passando da un’immagine “del” tempo ad una “nel” tempo.

Innumerevoli sono le possibilità di movimento, quando il paziente sceglie, porta delle immagini nel lavoro terapeutico ed infine le abita, ridandole vita con dettagli sensoriali legati al vissuto del qui ed ora. E’ nel presente che si può decidere di far qualcosa di diverso con un’immagine che appartiene al passato, per quanto recente o remoto esso sia.

Parlare di lavoro con le immagini nella terapia significa per l’autore introdurre nella relazione terapeutica oltre alla dimensione del “come se” una dimensione “quasi percettiva” che predispone al confronto con la propria esistenza e con la modalità di condurla.

Le immagini sono “evocatori esistenziali” potentissimi. Guardare una foto rimanda inevitabilmente l’osservatore alla “tesi di esistenza”, ossia a fare i conti con il fatto che ciò che si vede e non si vede in quella foto è esistito o esiste ancora.

Le foto non sono altro che una traccia del proprio o altrui esser stato nel mondo. Inoltre, ogni immagine rievoca il “sapere trasversale”, ossia una cornice cognitiva ed emotiva, che permette di dare un senso e di esplorare il copione esistenziale dell’altro al fine di promuovere una migliore qualità di vita.

Le immagini rappresentano un modo di narrarsi ed all’interno di una relazione terapeutica permettono di modificare la narrazione con la quale il paziente comunica a se stesso e agli altri la propria esistenza.

Ovviamente non spetta al terapeuta fornire nuovi racconti, ma egli può fornire degli stimoli, giocando con gli elementi di vita del paziente attraverso la relazione figura-sfondo. Porre l’attenzione sullo sfondo può generare nuove consapevolezze, tanto più quanto l’immagine portata è autobiografica.

Il fine del lavoro di Oliviero Rossi è quello di promuovere nuove alternative ai comportamenti cristallizzati del paziente, promuovendo l’attenzione, la consapevolezza e l’assunzione di responsabilità.

Il suo lavoro con le immagini nasce all’interno della cornice terapeutica della psicoterapia della Gestalt ed il suo metodo di lavoro, così come si scorge dal libro, non è che un tradursi in azione dei principi e delle tecniche della Gestalt.

La stessa immagine all’interno della relazione può essere sia uno “stimolo narrante” che si pone in figura rispetto alla storia di vita del paziente, sia come sfondo sul quale si instaura il rapporto dialogico paziente-terapeuta.

Il testo si articola in un alternarsi di teoria e di esperienza, attraverso sia la spiegazione dei fondamenti epistemologici su cui poggia il lavoro della foto-video terapia sia la descrizione di alcune interessanti sedute di lavoro che permettono al lettore di toccare con mano che cosa si può realmente fare in terapia con le fotografie e i video.

Mi sono avvicinata al testo, spinta dalla curiosità di capire come poter utilizzare le immagini nella relazione di aiuto e sento di aver soddisfatto un mio bisogno, incrementando il desiderio di farne viva esperienza sia come cliente sia come professionista.

Io stessa ho un ricco materiale video-fotografico della mia vita, ancor prima che nascessi, regalatomi da mio padre che ha immortalato me e la mia famiglia nelle sue diverse fasi. Ricordo ancora la prima cinepresa a pellicola che era sempre presente con noi e mi ricordo la vergogna che provavo ad esser ripresa, fin da piccina, ma oggi riguardo quelle immagini e riesco a coglierne la ricchezza in tutte le sue sfumature.

Concludendo, riporto una parte del testo “Parla, ricordo” di Nabokov che ben sottolinea, a mio avviso, il potenziale delle immagini come “traccia esistenziale” all’interno del ciclo di vita, includendo il prima della nascita e il dopo la morte.

“La culla dondola su un abisso, il buonsenso ci dice che la nostra esistenza è soltanto un fuggevole spiraglio di luce tra due eternità di tenebre. Benché le due eternità siano gemelle identiche, l’uomo di norma, contempla l’abisso prenatale con più serenità di quanto non contempli quello verso il quale è diretto(a circa quattrocentocinquanta battiti cardiaci orari).

Io so, tuttavia, di un giovane sensibile che provò qualcosa di simile al panico, quando vide per la prima volta alcuni vecchi film girati in famiglia poche settimane prima della sua nascita. Contemplò un mondo in pratica immutato – la stessa casa, le stesse persone – e si rese conto allora che non vi era esistito affatto e che nessuno aveva pianto la sua assenza.

Ad atterrirlo in modo particolare fu la vista di una nuovissima carrozzella per bambini che se ne stava là sulla veranda con l’aspetto compiaciuto e invadente di una bara; anche quella era vuota, come se, nel corso a ritroso degli eventi, le sue stesse ossa si fossero disintegrate”

Solo colui che decide di guardare se stesso all’interno di una relazione terapeutica sceglie di attivare un rapporto dialogico tra il se stesso che guarda e il se stesso immagine, al fine di aprirsi, qui ed ora, nuove possibilità di esistere più piacevoli.

 

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