
IL TRAVAGLIO DEL LUTTO
di Livia Crozzoli Aite
A cura di Martina Fino
L’autrice in questo articolo esplora il cambiamento culturale e simbolico della morte all’interno della nostra società: da evento trasformativo e socialmente condiviso ad evento taciuto e vissuto in solitudine.
La dimensione del morire è stata estromessa dalle nostre coscienze e dalle nostre case; attualmente più del 70% delle persone muore in ospedale e l’evento morte è difficilmente condiviso. Solo con la recente legge delle cure palliative (n.39/1999) e le attività delle associazioni di volontariato, si è in Italia posta l’attenzione su questa importante fase di vita.
La perdita di una persona significativa implica un’enorme sofferenza che prende il nome di cordoglio o lutto. In realtà questi due termini, usati come sinonimi nel linguaggio comune, hanno una particolare sfumatura di significato. Cordoglio significa “ sofferenza del cuore” e rappresenta bene la metafora della sofferenza sia sul piano fisico, come spasmo del cuore, che sul piano emotivo, come desiderio affettivo della persona deceduta.
Il cordoglio è un sentimento che si prova non solo in caso di morte, ma ogni volta che si perde o si deve lasciare andare via oggetti significativi esterni ed interni. Il cordoglio del lutto si differenzia per la definitività e irrecuperabilità della perdita. Con il termine lutto si intendono sia i rituali collettivi appartenenti alla propria cultura sia le reazioni psicologiche.
Il lutto è un’esperienza universale, ma è vissuta in tempi e modi personali. Tuttavia la morte di una persona cara genera difficoltà che scuotono profondamente come se fosse avvenuto un terremoto, cui seguono le scosse di assestamento.
Si può parlare di lutto anticipatorio, quando ci si prepara con l’evento della perdita, prefigurandolo; mentre si parla di lutto vero e proprio, dopo la morte della persona cara. Il processo di elaborazione del lutto riguarda non solo i familiari, ma anche e soprattutto il morente.
I bisogni, le paure e i desideri di un morente sono quelli di una persona viva, resi tuttavia più urgenti di fronte all’imminenza della morte. Spesso le fasi psicologiche e i tempi della famiglia e del morente non sono coincidenti.
Il processo di elaborazione del lutto al di fuori della patologia deve essere considerato come un “lavoro psichico che inizia, si sviluppa e si conclude”.
Come si può sostenere il processo di elaborazione del lutto?
E’ importante esplorare il significato della privazione di quella figura per la propria vita e la natura della relazione, guardando alla totalità della persona, agli aspetti positivi e negativi.
Lo scopo della risoluzione del lutto è quello di sviluppare una nuova relazione interiore con la persona scomparsa, una nuova forma d’amore fatta di “assenza più acuta presenza”. Con la terapia si può imparare a riconoscere e a contenere le proprie parti sofferenti, senza esserne prigionieri; si può apprendere come riconoscere le paure, le risorse e i desideri per il futuro.
Quando l’accento si sposta dal defunto a se stessi significa che sta avvenendo l’accettazione della perdita. Tuttavia sono noti i rischi di un lutto non risolto che può perfino evolvere in una patologia psichiatrica. Le variabili che portano a definire un lutto normale o patologico sono la durata nel tempo (maggiore di un anno) e l’intensità.
Il processo di elaborazione del lutto è un vero e proprio travaglio, così come lo definisce l’autrice, poiché prevede un processo di accettazione e di separazione, proprio come avviene nel travaglio del parto. Il processo di unione- separazione-individuazione è il medesimo seppur la situazione è ben diversa.
Quale il senso del lutto?
La morte ci ricorda la nostra transitorietà e ci obbliga a profondi cambiamenti, ricordandoci l’importanza del raggiungimento di un’identità separata e distinta e il riconoscimento della componente relazionale e affettiva che si continua a sperimentare nell’incontro con gli altri.